Il Paradosso Ingiustificabile: La Storia di Monica Busetto, Una Donna Ingiustamente Condannata per un Omicidio che Non Ha Compiuto mentre l’Assassina Confessa! Scopri Come un Caso di Giustizia Distorta e Prove Contaminate Ha Portato a una Sentenza Ingiusta, Mentre la Verità Rimane Nascosta tra Contraddizioni e Confessioni Confuse. Un Viaggio Sconcertante nel Mondo del Processo Penale Italiano che Ti Lascera Senza Parole!

Caso Busetto: il paradosso giudiziario che tiene in cella una donna mentre l’assassina confessa

 

Un paradosso inquietante scuote le fondamenta della giustizia italiana: due donne condannate, in processi separati, per lo stesso omicidio. Non come complici, ma ciascuna come unica autrice materiale. È il caso di Monica Busetto e Susanna Lazzarini, legate dalla morte violenta di Lida Taffi Pamio, 87 anni, uccisa a Mestre il 20 dicembre 2012.

La vicenda giudiziaria presenta anomalie che sollevano dubbi profondi sull’effettiva colpevolezza di una delle due condannate. Monica Busetto, 51 anni all’epoca dei fatti, viveva nell’appartamento di fronte alla vittima. La sua condanna a 25 anni si regge su un unico, controverso reperto: una collana trovata nella sua casa.

Quella collana, lunga 58 cm, è stata ritenuta appartenente alla signora Pamio. Tuttavia, le analisi del DNA hanno rilevato una quantità infinitesimale di materiale genetico della vittima, appena tre picogrammi per microlitro. Esperti genetisti, come la dottoressa Lucia Bartoloni consultata da “Le Iene”, hanno parlato di probabile contaminazione durante il trasporto del reperto.

La collana fu infatti messa nella stessa scatola di coltelli, lo schiaccianoci e indumenti letteralmente intrisi del DNA della vittima. Inoltre, perizie di fotogrammetria forense commissionate dagli inviati del programma televisivo indicano che la collanina della signora Pamio misurava tra i 65 e i 70 cm, non 58.

Un dettaglio cruciale emerge dalla bocca della stessa Susanna Lazzarini, condannata in un processo separato per lo stesso delitto. In cinque interrogatori, descrisse sempre la collana della vittima come spezzata nel gancetto. Quella trovata in casa Busetto, invece, era rotta a metà, con il gancetto intatto.

La svolta arriva nel 2015, quando Susanna Lazzarini viene arrestata per l’omicidio di un’altra anziana, Francesca Vianello, uccisa con modalità identiche. La Lazzarini, disoccupata 54enne, confessò quel delitto, ma durante gli interrogatori ebbe un lapsus rivelatore, iniziando a descrivere l’omicidio Pamio.

Convocata dalla procura di Venezia, nei primi tre interrogatori (per un totale di oltre 31 ore di audizioni) Susanna Lazzarini fornì una confessione dettagliata e coerente. Dichiarò di aver agito da sola, assolvendo esplicitamente Monica Busetto: “Monica Busetto non c’entra niente”, ripeté ossessivamente.

Sotto la pressione degli inquirenti, che le proposero scenari alternativi, la sua versione cambiò radicalmente al quarto interrogatorio. Raccontò allora di aver agito in concorso con Monica Busetto, descrivendo una scena surreale con la Busetto vestita da chirurgo nell’appartamento della vittima.

Al quinto interrogatorio, la narrazione divenne ancora più confusa e contraddittoria, al punto che il suo stesso avvocato difensore sbottò in aula, attaccando la credibilità della sua assistita: “Siamo andati in tilt, signora… Non posso stare qua ad ascoltare queste fesserie”.

Nonostante la palese incoerenza di queste successive confessioni, il giudice del Tribunale di Venezia, pur definendo la ricostruzione “ondivaga” e in parti “logicamente insostenibile”, la ritenne valida. La condanna di Monica Busetto, ormai definitiva, rimase in piedi.

Contro Monica Busetto non esiste un movente credibile, né tracce del suo DNA sulla scena del crimine, dove fu invece rinvenuto il profilo genetico di una persona non identificata. Testimonianze di vicini e conoscenti la descrivono come persona tranquilla e riservata.

La difesa ha presentato richiesta di revisione del processo, ma nel marzo 2025 la Corte di Cassazione l’ha rigettata. La motivazione: il contrasto tra le due sentenze non basta. Servirebbe una “inconciliabilità oggettiva” dei fatti, che i giudici non ravvisano.

La Cassazione ha stabilito che le dichiarazioni tardive della Lazzarini non costituiscono prova nuova sufficiente e che la differenza tra le sentenze deriva da una “diversa valutazione delle prove”, non da un errore oggettivo. La discrezionalità giudiziaria prevale.

Monica Busetto ha già scontato 12 anni di carcere. Il suo caso solleva interrogativi stringenti sull’affidabilità delle prove scientifiche contaminabili, sulle tecniche di interrogatorio e sulla difficoltà del sistema di ammettere un possibile errore giudiziario.

Documenti, perizie contraddittorie e la confessione dell’unica persona che si dichiara colpevole del delitto sembrano non bastare a scalfire l’edificio di una sentenza definitiva. Il paradosso giudiziario resta, mentre una donna rimane in cella e la giustizia fatica a trovare una via d’uscita.