Confronto televisivo acceso tra l’avvocato Giada Bocellari e la psicologa Roberta Bruzzone. La difesa di Alberto Stasi smonta le diagnosi basate su articoli di giornale, evidenziando una clamorosa ammissione in diretta.
In un dibattito infuocato andato in onda in queste ore, l’avvocato penalista Giada Bocellari ha duramente contestato le valutazioni psicologiche espresse dalla dottoressa Roberta Bruzzone sul caso di Alberto Stasi. Il confronto, divenuto subito virale, ha visto la legale demolire le argomentazioni della nota criminologa, costretta ad ammettere di non aver avuto accesso alla cartella clinica integrale dell’imputato.
La Bruzzone, interpellata spesso dai media come esperta, aveva espresso giudizi netti sugli interessi sessuali di Stasi, definendoli “anormali” e ipotizzando una dipendenza da pornografia estrema. Tali affermazioni si basavano, a suo dire, sulla quantità e natura del materiale rinvenuto sul computer dell’uomo e su quanto riportato da alcuni articoli di stampa.
Proprio qui è caduto il colpo di scena. Sotto il pressing forense della Bocellari, la psicologa ha confermato di non aver mai visionato l’intera documentazione clinica di Stasi, compilata negli anni da psicologi penitenziari. “Lei non ce l’ha integralmente la cartella. Ah, ok”, ha ribattuto seccamente l’avvocato, mettendo a nudo il fondamento traballante delle diagnosi televisive.
La Bocellari, preparatissima, ha quindi proceduto a una puntuale disamina tecnica, citando i manuali diagnostici DSM-5 e ICD-11. Ha chiarito che una parafilia di per sé non è un disturbo mentale e che per diagnosticare un disturbo parafilico servono criteri clinici stringenti, come sofferenza soggettiva o danno ad altri.
“Guardare materiale porno non è un indicatore di regolazione emotiva se non viene riferito dal soggetto stesso durante un colloquio clinico”, ha sottolineato la penalista. Ha aggiunto che né la catalogazione di file, né il loro numero, né l’età di 24 anni – picco statistico per il consumo di pornografia – sono di per sé indicatori diagnostici di patologia.

La difesa ha rimarcato come le relazioni degli specialisti che hanno seguito Stasi in carcere avessero escluso psicopatologie parafiliche, descrivendo invece “uno sviluppo psicosessuale normalissimo”. La Bruzzone ha replicato di non condividere quelle valutazioni, insistendo sulla sua interpretazione dei file digitali, ma la sua posizione è parsa sempre più isolata.
L’avvocato Bocellari ha infine richiamato le linee guida deontologiche internazionali, che vietano espressamente di esprimere giudizi psicologici su persone non valutate di persona. Un monito che suona come una critica severa alla pratica delle diagnosi mediatiche, lontane dai protocolli clinici.
L’episodio solleva questioni cruciali sul ruolo degli esperti nei talk show e sui limiti dell’analisi psicologica a distanza. La professionalità della Bruzzone, punto di riferimento per il pubblico televisivo, esce dallo scontro fortemente ridimensionata, mentre emerge il rigore giuridico di un’avvocata che ha fatto della preparazione tecnica la sua arma migliore.
Il video del confronto sta generando un acceso dibattito online tra professionisti della salute mentale e giuristi. Molti sottolineano i rischi di patologizzazione e stigmatizzazione basate su frammenti di informazioni, spesso decontestualizzate e amplificate dalla cronaca.
La vicenda potrebbe avere ripercussioni sul modo in cui i media trattano le componenti psicologiche di casi giudiziari così sensibili. La netta vittoria dialettica di Giada Bocellari non è solo una questione personale, ma un segnale forte verso una maggiore cautela e un rispetto dei protocolli scientifici anche nel battage mediatico.