
Nel caso Garlasco, Chiara Poggi è stata al centro di tutto. Eppure, col passare del tempo, è diventata sempre più invisibile.
All’inizio era lei la notizia.
Una ragazza di 26 anni trovata morta nella sua casa, in un tranquillo paese di provincia. Un volto pulito. Una vita ordinaria. Una famiglia riservata.
Poi il racconto è cambiato.
Il caso Garlasco è diventato un labirinto di perizie, sentenze ribaltate, discussioni infinite. I riflettori si sono spostati sull’imputato, sugli errori investigativi, sulle contraddizioni della giustizia. E Chiara, lentamente, è scivolata ai margini della sua stessa storia.
Di lei si è detto poco.
Sempre le stesse parole: brava ragazza, figlia modello, vita senza ombre. Un ritratto semplice, quasi immobile.
Ma Chiara non era un simbolo. Era una persona. Aveva pensieri, desideri, fragilità.
Una quotidianità che raramente ha trovato spazio nel racconto mediatico, perché non serviva a sostenere una tesi, né a rafforzare un dubbio.
Nel tempo, Chiara Poggi è diventata un punto fermo e silenzioso attorno a cui tutto ruotava. Non più una vita da ricordare, ma un riferimento astratto.

Una presenza necessaria per tenere aperto il caso, ma priva di voce. Ogni nuovo dettaglio non parlava di lei. Serviva a difendere o attaccare qualcuno. A confermare o smontare una ricostruzione.
La vittima non era più il cuore del racconto. Era il terreno su cui si combatteva.
C’è un paradosso che il caso Garlasco mette davanti agli occhi di tutti: più una storia diventa famosa, più il volto della vittima rischia di sbiadire.
Il nome di Chiara è stato pronunciato per anni, ma la sua identità reale è rimasta sullo sfondo, coperta dal rumore del dibattito pubblico.
Anche il silenzio della famiglia è stato spesso interpretato. Talvolta giudicato.

Ma forse quel silenzio non era distanza. Era protezione.
L’ultimo modo per difendere Chiara da una narrazione che stava consumando tutto.
Il caso Garlasco non è solo una storia di giustizia controversa.
È anche un esempio di come, nel racconto mediatico, una vittima possa perdere due volte.
La prima, quando le viene tolta la vita. La seconda, quando le viene tolta la complessità.
Chiara Poggi non è solo il nome di un caso giudiziario. È una persona che, col passare degli anni, abbiamo smesso di guardare davvero. E forse la domanda più scomoda non è soltanto chi l’ha uccisa.
👉 quando un caso diventa un’ossessione collettiva, chi si prende cura della memoria della vittima?