Il mistero di Chiara Poggi: il DNA sotto le sue unghie svela un nuovo sospettato, Andrea Sempio, ma la scienza avverte: le prove sono fragili e confuse! Dopo anni di incertezze, un’analisi rivoluzionaria riapre il caso di uno degli omicidi più inquietanti d’Italia, rivelando ERRORI clamorosi nelle indagini e domande inquietanti sulla verità. La scienza forense può davvero risolvere un crimine, o è solo un puzzle di indizi? Scopri la verità nascosta!

GARLASCO: IL DNA SOTTO LE UNGHIE DI CHIARA POGGI ACCUSA UN NUOVO NOME, MA LA SCIENZA METTE IN GUARDIA

Un microscopico frammento di materiale genetico, custodito per anni in una provetta, riapre le ferite di uno dei casi più oscuri della cronaca nera italiana. Sotto le unghie di Chiara Poggi, uccisa a colpi di oggetto contundente il 13 agosto 2007 nella sua villetta di Garlasco, potrebbe celarsi la traccia dell’aggressore. Una traccia che oggi punta verso un nuovo volto: Andrea Sempio, amico del fratello della vittima.

Le indagini del 2007, condotte dal RIS di Parma, avevano escluso la presenza di DNA estraneo sotto le unghie di Chiara. Il profilo era “monocontributivo”, riconducibile solo alla giovane vittima. Le tracce maschili rilevate erano state classificate come rumore di fondo, insignificanti. Quel risultato contribuì al quadro che portò alla condanna di Alberto Stasi, il fidanzato.

La svolta arriva nel 2014, su disposizione della Corte d’Assise d’Appello di Milano. Il perito nominato, il professor Francesco De Stefano, adotta un metodo radicale: scioglie letteralmente i frammenti ungueali conservati per estrarre il massimo del DNA. Il suo rapporto rileva “segnali extrallelici” debolissimi, tracce di DNA maschile troppo degradato per una identificazione certa, ma che “non si può escludere” siano compatibili con Stasi.

È nel 2016 che la difesa di Stasi, riesaminando quei dati, fa emergere un nome inatteso: Andrea Sempio. L’aplotipo del cromosoma Y (la firma genetica della linea paterna) risulta compatibile con alcuni dei segnali rilevati. Sempio, all’epoca diciannovenne, frequentava occasionalmente casa Poggi ma non aveva un rapporto diretto con Chiara.

La magistratura affida una nuova, cruciale perizia alla dottoressa Denisa Albani, commissario capo biologo della Polizia di Stato. Il suo rapporto, depositato il 2 dicembre 2025, è un documento di 93 pagine che smonta qualsiasi certezza probatoria. L’analisi è spietata nella sua precisione scientifica.

La perizia Albani contesta alla radice le metodologie del 2014. La mancata quantificazione del DNA prima dell’amplificazione è un errore fondamentale: “È come sparare nel buio”. I tre diversi volumi di analisi non sono repliche confrontabili, ma esperimenti indipendenti e non consolidati. I profili ottenuti sono “misti parziali”, incompleti.

Il dato più eclatante riguarda proprio i confronti. Su un frammento (MDX5, il quinto dito della mano destra), l’aplotipo di Andrea Sempio risulta compatibile su tutti e 12 i marcatori analizzati. L’ipotesi che il DNA provenga da lui o da un suo parente maschio in linea paterna è da 476 a 2156 volte più probabile dell’ipotesi che provenga da due estranei.

Tuttavia, la scienziata inchioda il limite invalicabile di questa compatibilità. L’analisi del cromosoma Y non identifica un individuo, ma una linea familiare. Quel DNA potrebbe appartenere ad Andrea, a suo padre, a suo nonno o a un cugino paterno. Inoltre, avendo De Stefano sciolto l’intera unghia, è impossibile stabilire se il materiale fosse sotto l’unghia (quindi da un possibile graffio durante una colluttazione) o sopra (da contaminazione ambientale).

La perizia svela un altro inquietante tassello: la contaminazione in sede autoptica non era un’ipotesi astratta. Un tampone orale prelevato dalla bocca di Chiara durante l’autopsia contiene DNA del tecnico di sala e di un altro soggetto maschile sottoposto ad autopsia nello stesso periodo, nello stesso laboratorio pavese.

“Se la contaminazione è possibile su un tampone prelevato direttamente dalla bocca, in un ambiente controllato”, si chiede implicitamente la perizia, “quanto è affidabile il materiale prelevato dalle unghie?” Unghie conservate in provette non sigillate singolarmente, manipolate in laboratori diversi, da operatori diversi, in tempi diversi.

Le conclusioni della dottoressa Albani sono nette e lasciano poco spazio all’interpretazione giudiziaria. I dati del 2014 non sono scientificamente solidi. Anche a fronte della compatibilità con la linea Sempio, non è possibile stabilire come, quando e perché quel materiale biologico si sia depositato. La contaminazione o un trasferimento secondario (ad esempio, Chiara che tocca un oggetto toccato da Sempio) non possono essere escluse.

Il caso riapre drammatici interrogativi investigativi. Perché Sempio, all’epoca, non fu mai veramente indagato? Perché nessuno controllò se avesse graffi o ferite? Perché non furono acquisite tempestivamente le videoregistrazioni lungo il percorso da lui dichiarato per quel 13 agosto? Elementi suggestivi, come le sue brevi chiamate a casa Poggi nei giorni prima del delitto o la maglia a maniche lunghe indossata in piena estate il giorno della scoperta del corpo, rimangono indizi non approfonditi.

Il DNA sotto le unghie di Chiara Poggi racconta oggi una storia di compatibilità genetica, ma anche una storia di errori procedurali, di metodologie contestabili e del limite intrinseco della scienza forense quando applicata senza il massimo rigore. Da solo, avverte la perizia, quel dato non è idoneo a sostenere un’accusa. La verità sull’omicidio di Chiara Poggi forse non risiede solo in una provetta, ma in un mosaico investigativo che attende ancora di essere ricomposto con precisione e senza pregiudizi. La scienza ha parlato, ma la sua voce è un monito alla cautela, non una sentenza.