Dopo 18 anni di silenzio, la verità sul misterioso omicidio di Chiara Poggi emerge con forza: il PM Civardi accusa Andrea Sempio, l’amico di lunga data, come principale indiziato. Nuove prove scientifiche e incongruenze logistiche riscrivono la storia di un caso che ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso. Scoprirete come un semplice DNA ha il potere di rovesciare una narrazione consolidata e portare finalmente giustizia per Chiara.

Garlasco, il silenzio è rotto: il PM Civardi indica Andrea Sempio come principale indiziato per l’omicidio di Chiara Poggi. Dopo 18 anni, un nuovo fascicolo prova a riscrivere una delle pagine più oscure della cronaca nera italiana.

La Procura di Pavia ha chiuso il cerchio. Con una frase secca e definitiva, il pubblico ministero Stefano Civardi ha dichiarato che per le indagini il caso dell’omicidio di Chiara Poggi è “praticamente chiuso”. Il nome che emerge con forza schiacciante dalle nuove prove è quello di Andrea Sempio, amico di lunga data della vittima, finora figura sempre rimasta in secondo piano.

Il magistrato, noto per il suo metodo minuzioso e inflessibile, ha lavorato in silenzio dal 2021, riaprendo un fascicolo che molti consideravano archiviato. Il suo lavoro ha smontato pezzo per pezzo la narrazione consolidata, rivelando una serie di incongruenze e prove mai valorizzate che convergono in un’unica direzione.

L’elemento cardine è un profilo genetico. Il DNA rilevato sotto le unghie di Chiara Poggi, traccia all’epoca archiviata senza approfondimenti, è stato riesaminato con tecnologie moderne. Il risultato dell’analisi forense ha portato all’identificazione di Andrea Sempio, fornendo un dato scientifico di peso inedito.

Parallelamente, Civardi ha demolito l’alibi dell’uomo. Attraverso una rilettura maniacale dei tabulati telefonici, incrociata con tempi di percorrenza e zone di copertura delle celle, sono emersi “vuoti temporali” inspiegabili. Momenti in cui la posizione dichiarata da Sempio non risulta verificabile per intervalli di tempo significativi.

Ma l’indagine ha scavato ancora più a fondo, imbattendosi in un elemento che potrebbe cambiare la natura stessa del caso. Uno scontrino, presentato come prova a discarico, risulterebbe essere stato ristampato mesi dopo il delitto. La data di stampa, rilevabile con appositi test, racconterebbe una verità diversa, aprendo il drammatico scenario di una prova manipolata.

Il lavoro della Procura non si è fermato alle prove materiali. È stata ricostruita la topografia comportamentale di Sempio, analizzando abitudini, frequenza di contatti con la vittima e dinamiche relazionali. Il quadro che ne emerge è molto diverso dalla semplice amicizia descritta per anni, mostrando tensioni e presenze in momenti chiave.

Mentre Civardi costruiva il suo castello probatorio, all’esterno è calato un silenzio assordante. La difesa di Sempio, storicamente affidata all’avvocato Lovati, non ha reagito pubblicamente. Nessuna dichiarazione, nessuna conferenza stampa, nessuna richiesta di accesso agli atti. Una sparizione mediatica che pesa come un macigno.

Anche le dichiarazioni della madre di Andrea Sempio, chiamata a confermare alibi, sembrano aver indebolito la posizione del figlio. Frasi vaghe, ricostruzioni incerte in un contesto dove ogni parola è cruciale hanno contribuito a un quadro generale sempre più sfavorevole all’indagato.

Il prossimo passo è l’incidente probatorio previsto per ottobre. Per la Procura non è un passaggio decisivo, avendo già prove ritenute sufficienti per il rinvio a giudizio, ma servirà a blindare gli elementi accusatori e a fissare testimonianze. È il preludio al processo.

La svolta investigativa costringe a una riflessione amara: come hanno potuto queste tracce rimanere inespresse per quasi due decenni? La domanda sull’eventuale esistenza di omissioni o depistaggi è ora legittima e pesante. Civardi non si fermerà al solo indagato; se emergeranno responsabilità esterne, il fascicolo potrebbe allargarsi.

Il caso Garlasco è stato per anni plasmato da una narrazione mediatica potente, che ha creato comode certezze e ha rapidamente messo da parte piste scomode. Ora quella narrazione vacilla. I dati scientifici e le incongruenze logistiche parlano una lingua nuova, che non ammette più ambiguità.

L’aria a Pavia è cambiata. Il tempo delle apparenze, dei “non ricordo” e delle verità parziali è finito. Il magistrato ha costruito un impianto accusatorio che si regge su prove incrociate: genetica, telefonica, documentale. Il silenzio della difesa in questo frangente risuona più forte di qualsiasi smentita.

La verità giudiziaria sta prendendo una forma precisa, diversa da quella raccontata per 18 anni. Quando il processo si aprirà, non ci sarà più spazio per le zone grigie. Per Chiara Poggi, per la sua famiglia e per una comunità intera, il lungo e doloroso labirinto potrebbe essere finalmente alla fine. La luce in fondo al tunnel, ora, ha un nome.