Il serial killer che colpiva i neri durante l’apartheid in Sudafrica.Il mondo del crimine reale è scosso da una rivelazione sconcertante e agghiacciante: Lewis Van Score, noto come “l’assassino dell’apartheid”, è emerso come uno dei serial killer più controversi e spietati del Sudafrica durante il regime segregazionista. Un uomo la cui ombra ha coperto East London con un terrore che ha lasciato cicatrici indelebili.

Il mondo del crimine reale è scosso da una rivelazione sconcertante e agghiacciante: Lewis Van Score, noto come “l’assassino dell’apartheid”, è emerso come uno dei serial killer più controversi e spietati del Sudafrica durante il regime segregazionista. Un uomo la cui ombra ha coperto East London con un terrore che ha lasciato cicatrici indelebili.

Nato nel cuore dell’apartheid e cresciuto in un ambiente intriso di razzismo istituzionalizzato, Van Score ha trasformato il suo ruolo di guardia di sicurezza in un’arma letale. Con un passato da poliziotto e soldato, ha sfruttato la brutalità e la legge al servizio di un’ideologia malata, facendo sparire decine di uomini neri, vittime di omicidi premeditati e sistematici.

Per anni, Van Score ha agito indisturbato, protetto da un sistema giudiziario e da una polizia che spesso chiudeva un occhio e minimizzava le sue azioni sanguinarie. Non solo si vantava apertamente di aver colpito centinaia di presunti ladri, ma in alcuni casi si trovava accanto agli agenti di polizia mentre venivano caricati i corpi senza vita delle sue vittime.

Il modus operandi di Van Score era tanto freddo quanto calcolato: si avvicinava furtivamente agli intrusi, spesso uomini neri disarmati, con la sua pistola calibro 9 mm e il suo fedele walkie talkie, sparando a bruciapelo senza mostrare alcuna esitazione. Le leggi dell’epoca, distorte dalla propaganda dell’apartheid e da una legislazione ipocrita, lo coprivano, rendendolo praticamente intoccabile.

Solo attraverso il coraggio di pochi giornalisti investigativi, come Patrick Good e Dominic Jones, e mediante la collaborazione con organizzazioni per i diritti umani, è emersa la verità dietro l’apparente “eroe” locale. Un’inchiesta senza precedenti ha rivelato almeno 41 vittime accertate, con decine di altri aggressioni e sparatorie non dichiarate, vittime sepolte in tombe anonime e dimenticate dal sistema.

Gli sforzi per denunciare Van Score si sono scontrati con una censura ferrea e un clima di paura imposto dal governo sudafricano, che ha occultato fatti cruenti per preservare un’immagine ingannevole di ordine e sicurezza. I media locali, sotto pressione, hanno inizialmente ignorato le denunce, mentre Van Score continuava la sua scia di sangue.

Il processo del 1991 è stato un teatro di giustizia parziale: nonostante prove schiaccianti, Van Score è stato condannato “solo” per sette omicidi, con una pena finale che si è tradotta in appena 20 anni di carcere effettivi. Un verdetto che infiammava ulteriormente la frustrazione della comunità nera e sollevava interrogativi inquietanti sul vero ruolo delle istituzioni.

Dopo aver scontato appena 12 anni, Van Score è riemerso nella società, gestendo una fattoria considerata risorsa economica per la comunità locale. Una presenza che ha riacceso l’indignazione pubblica e il dibattito su impunità e riforme legali, mentre la sua ombra lunga e cupa ancora inquietava le vittime sopravvissute e le loro famiglie.

Quando la BBC ha diffuso un documentario nel 2024, la vita di Van Score ormai era appesa a un filo: colpito da un infarto, amputato di entrambe le gambe e relegato a una sedia a rotelle, viveva in isolamento totale. La sua morte, pochi giorni dopo l’uscita del documentario, ha chiuso un capitolo oscuro, ma non ha cancellato il trauma scaricato su decine di famiglie.

Lewis Van Score è stato e resterà un simbolo di una tragedia morale e sociale senza precedenti. Il suo nome è oggi indissolubilmente legato all’orrore delle leggi dell’apartheid, i cui echi ancora risuonano nelle ingiustizie e nel dolore di chi ha vissuto sotto il suo terrore.

Questo caso ha spinto il legislatore sudafricano a rivedere e modificare le leggi sulla legittima difesa, eliminando il diritto d’uso di forza letale indiscriminata da parte di privati. Una lezione crudele che ha segnato profondamente la memoria collettiva del paese.

Il racconto di Van Score si incubò nell’ostilità razziale di un’epoca che giustificava l’omicidio sistematico di persone in base al colore della pelle. Dietro la sua maschera di “protettore” si celava un uomo plasmato da un odio radicato e dallo squilibrio psicologico, capace di brutalità che hanno rivestito East London di timore e sangue.

Il caso Van Score è una ferita aperta che testimonia le cicatrici lasciate dall’apartheid sulla giustizia e sulla società sudafricane. È un monito potente contro ogni forma di discriminazione e abuso di potere, che deve trovare posto nella storia come avvertimento e memoria.

La sua vicenda, portata alla luce da giornalisti coriacei e difensori dei diritti umani, dimostra che anche di fronte a un sistema corrotto e complice, la verità può emergere, chiedendo conto agli assassini e a chi li ha coperti.

Mentre il Sudafrica si impegna a superare il suo passato oscuro e costruire un futuro di uguaglianza, la storia di Lewis Van Score rimane un doloroso promemoria del costo umano dell’odio istituzionale e della violenza legalizzata.

Un uomo, una maschera, una sequenza di morti ingiuste che hanno segnato un’epoca maledetta: l’assassino dell’apartheid è stato finalmente smascherato, ma le sue vittime continuano a chiedere giustizia e memoria in un paese che cerca ancora la sua riconciliazione.